Volontariato é: Alessandra “In Africa tutto é così prezioso”
Per la rubrica “Volontariato é” oggi tocca alla testimonianza di Alessandra, giovane di Montemurlo, che nell’agosto 2018 ha partecipato al campo missionario di volontariato organizzato dall’associazione AMICI per il ripristino dell’infermeria del collegio “Saint Jean Marie Vianney” a Katiola in Costa d’Avorio.
Sono partita senza troppe domande o aspettativa ma solo con la voglia di lasciarmi modellare da questo viaggio e dalle emozioni che avrei vissuto.
Un’esperienza che mi ha aiutato ad uscire dal mio piccolo guscio e aprirmi agli altri. Tutto ciò ha preso forma grazie all’incontro con i giovani francesi e ivoriani, un’esperienza che mi ha cambiato e che mi aiuta ad essere più libera e aperta all’incontro con l’altro. Posso affermare oggi che in Costa d’Avorio ho fatto l’esperienza della sorprendente, travolgente, meravigliosa forza della vita: l’amore: quando parlo di amore mi vengono in mente i tanti sorrisi – stupendi – le mani dei bambini e quelle delle donne – con le piaghe – eppure così belle.
E cosa dire degli abbracci, di quegli occhi pieni di stupore, come quelli di lsaac quando, per la prima volta, ha visto una macchina fotografica? In Costa d’Avorio, la prima cosa che ti dicono appena arrivi è “Akwaba“, che significa “benvenuto”.
lo, oltre che benvenuta, sono stata anche ben-voluta, perché ho ricevuto tanto, tanto bene.
L’Africa se non la vivi, non la puoi descrivere ed io ne ho vista solo una parte, eppure mi sembra di aver visto tutto, l’essenziale. In questa esperienza ho donato così poco e quanto bene ho ricevuto!
Troppe volte ci immaginiamo l’Africa come un’immensa distesa di savane, giraffe, tramonti e leoni. Ma al tempo stesso nel nostro immaginario le diamo una forma e una fisionomia standardizzata, copertina offerta da un’Occidente che generalizza. Mi spiego meglio: se non vedi immagini di bambini mangiati dalle mosche e deperiti fino alle ossa, allora non sei in Africa.
E’ vero, in Africa si ha fame, in Africa si ha sete, ma non occorre avere le mosche sugli occhi per rendersene conto. Non occorre guardare le pubblicità dell’8X1000. Occorre spogliarsi dei nostri panni ed entrare in un mondo completamente nuovo, un mondo che ha fame di cibo, ma anche di attenzioni, di comprensione.
E’ vero, se fai un viaggio in Africa è più semplice sentirsi nel giro di questa particolare empatia, una Terra che vi garantisco non vorrebbero mai lasciare, loro che ci sono nati. Ma allora chiediamoci perché sono costretti a farlo. E per fare questa domanda non dobbiamo andare tanto lontano.
Sono state settimane incredibili, abbiamo cantato, ballato, riso – tantissimo – lavorato, pregato, gustato la bellezza dell’amicizia e anche il sapore amaro della stanchezza, una stanchezza che, però, ci ha donato tanta pace.
Ricordo quella sera a Dabakala avevamo con noi poco o nulla. Non c’era nemmeno l’acqua corrente, ci siamo lavati con un po’ d’acqua fredda e giallastra presa dal pozzo. E intorno a noi solo il silenzio di un villaggio che dormiva e su nel cielo le stelle, con la via lattea che sembrava dipinta.
Ecco, in quel momento mi sembrava di avere il mondo intero.
Un nulla che sa di tutto. Mi viene in mente un canto, dice: “Solo una goccia, Signore, hai messo fra le mani mie, solo una goccia che Tu ora chiedi a me”. Guardo le mie mani, oggi, Signore, e sul piccolo crocifisso che porto al polso vedo che è rimasta impressa una pennellata di vernice, qualcuno mi ha detto che il motivo è molto semplice: Tu hai verniciato insieme a me, Tu hai camminato insieme a me, hai ballato – sicuramente meglio di me – ma con me!
Grazie per queste meraviglie che hai messo davanti ai miei occhi.
Una volta tornata a casa nel mio quotidiano sicuramente riuscirò a dare più valore alle piccole cose perché qui in Africa tutto è prezioso, nulla è mai scontato; saprò apprezzare di più la vita di tutti i giorni e le persone che frequento.
Alessandra Corti