Non dimenticatevi di sorridere!
27/10/2020 - News
Bambaran: ecco la “parola magica” della Giornata Mondiale Missionaria celebrata domenica 25 ottobre anche nella parrocchia Sacro Cuore di Lissone. In alcune lingue africane il “bambaran” è il drappo coloratissimo che ogni mamma tesse – sempre nuovo e diverso per ogni figlio – per il bambino che nascerà; quale simbolo migliore, dunque, per una Giornata che quest’anno nella diocesi di Milano aveva per tema “Tessitori di fraternità”?
Come ogni anno il Gruppo missionario della parrocchia ha preparato nel dettaglio la giornata (quest’anno per le note restrizioni dovute all’emergenza sanitaria non è stato organizzato il consueto pranzo comunitario): per la celebrazione della messa “missionario” ai piedi dell’altare é stato installata la riproduzione di un telaio africano e accanto la sagoma di una mamma con il suo bimbo avvolto nel “bambaran”.
Al termine della celebrazione a prendere la parola é stata Camilla Frigerio, giovane studentessa in medicina di Albavilla che nell’estate 2019 ha trascorso un periodo di volontariato a Niem (Repubblica Centrafricana) nel dispensario gestito da padre Tiziano Pozzi.
Ecco le sue parole:
“Sono partita la scorsa estate e ho trascorso un mese nella Repubblica Centrafricana, presso il Dispensario di Niem, centro sanitario del vostro compaesano padre Tiziano, che ho proprio qualche giorno fa ho sentito, mi ha detto di salutarvi tanto e di non dimenticarvi di lui.
Ho pensato molto a come iniziare questo discorso e ho pensato di iniziare dal perché ho scelto di partire.
Sono partita perché sentivo il bisogno di confrontarmi con una realtà diversa, perché qui mi sembrava di aver perso un po’ il focus della mia vita.
Ho sempre sentito il bisogno di fare qualcosa per gli altri, qui sono volontaria della croce rossa, ma sentivo che in quel momento non mi bastava.
Due sono le parole che possono racchiudere la mia esperienza: unione e sorpresa.
Ero decisa a partire, ci avevo pensato tanto e avevo immaginato ciò che avrei potuto vedere e vivere.
Tuttavia, è stata una sorpresa: un conto è immaginarsi l’Africa, un altro è viverla, con la sua realtà spesso cruda e dura. Sì dura, ricordo benissimo che la prima settimana al centro di Niem ho pensato di aver sbagliato ad essere lì, di essere stata ingenua, di non essere pronta per confrontarmi con tutto quello.
La morte al dispensario era la mia compagna quotidiana. Vedevo e vivevo scene che non riuscivo a comprendere. Ero partita con grandi progetti, ma la realtà con cui mi sono scontrata era ben diversa da quella che mi ero immaginata.
Ma è stato proprio quando sentivo di aver sbagliato tutto, che è accaduto un episodio che mi ha dato di nuovo la forza. È arrivato all’ospedale un bimbo di appena qualche mese, aveva la malaria ed era molto anemico. Necessitava di una trasfusione al più presto, tuttavia a Niem non esistono le banche del sangue, il donatore si cerca tra i famigliari. Il bimbo era zero positivo, ma nessuno dei famigliari era compatibile. Io però sì; quel giorno ho donato il mio sangue a quel bimbo. È stato un piccolo gesto, ma che mi ha riempito il cuore di gioia. Mi ha fatto ritrovare il senso del mio essere in Centrafrica. Io stavo sbagliando perché cercavo di comprendere una realtà diversa, riportandola alla mia cultura. L’essere missionario, invece, è uno scambio di culture, alla pari. È un portare la vita, condividendola con la comunità con cui si sceglie di stare.
L’Africa, infatti, mi ha insegnato tanto.
Mi ha insegnato a sapermela cavare da sola: ricordo che un giorno è arrivato un allevatore e ci ha venduto una gamba di mucca e noi ci siamo dovuti improvvisare macellai per l’occasione, abbiamo diviso i pezzi tra filetti, arrosto e bistecche.
Ma soprattutto mi ha insegnato ad essere grata.
Essere grata per ciò che ho e ancor di più per il dono della vita. Noi forse solo ora, con questa brutta situazione che stiamo attraversando, ci rendiamo conto che davamo tante cose, forse troppe, per scontate. In Centrafrica non hanno nulla, ma ogni giorno è un inno alla vita.
Gli africani sanno quanto la vita sia preziosa, perché vivono la morte, e sanno che ogni giorno è un dono, che va vissuto appieno, con il sorriso in volto.
Sì il sorriso, quel sorriso che spesso chi torna dall’Africa racconta, che non è esprimibile a parole, ma è gioia pura. Ed è forse questo il regalo più grande che questa esperienza mi ha dato.
Anche quando tutto sembra grigio, dobbiamo sempre cercare un motivo per sorridere, per farci forza, perché quel sorriso è speranza, speranza di una giornata, di un domani migliore. Questo è il messaggio che io oggi vorrei lasciare a voi: Non dimenticatevi di sorridere. Ora più che mai!
Vorrei concludere citando le parole di don Alessio Toniolo, Direttore dell’ufficio missionario diocesano, sul tema di questa giornata missionaria: “Tessitori di fraternità”: “I missionari sono tessitori di fraternità. Per quanto riguarda la prima parola, bisogna considerare che la trama e l’ordito sono indispensabili per la fattura di un tessuto, ma singolarmente non hanno significato. Così l’opera missionaria cela tanti contributi che magari non si vedono, ma sono indispensabili e sono quelli di ciascuno, in ogni ambito. E poi c’è la fraternità: l’essere missionari non può non tener conto del fatto che siamo fratelli. La missionarietà è cura delle relazioni, del mondo in cui siamo, è disponibilità a costruire legami, non basati sulla competizione, ma sulla condivisione”.
In conclusione, Don Toniolo, ci sta dicendo che ognuno di noi può essere missionario, può essere parte di questo tessuto, bisogna solo sentire la responsabilità di essere un pezzo, una trama, un filo, anche con poco“.