Fratel Angelo Sala: “Fare, poco…, ma con Amore”
14/07/2021 - News
Pubblichiamo uno stralcio dell’articolo fatto da fr. Angelo Sala, Direttore del Centro di Cura “Saint Michel”, riportato sulla NEF (Nouvelles En Famille) bollettino della Congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Bétharram. (Per leggere l’interno numero cliccare qui)
Il Centro di Cura “Saint Michel” inaugurato nel 2010 é nato con lo scopo di dare un’assistenza globale ai malati di AIDS. Questo progetto è tutt’ora operativo ed ha in carico più di mille pazienti tra i quali un centinaio di bambini sieropositivi orfani. Il Centro organizza un percorso di sensibilizzazione nelle scuole o in diverse manifestazioni che si svolgono regolarmente sul territorio. Dopo questi anni di servizio nella città di Bouar, ci siamo resi conto che iniziavano ad arrivare persone anche dai vari villaggi limitrofi, percorrendo anche decine di chilometri a piedi per poter essere curati. Considerando che una terapia antiretrovirale è una terapia che deve continuare per tutta la vita e che, per evitare che si formino resistenze a questi farmaci, si deve cercare di essere fedeli ad un appuntamento che è dato regolarmente al malato. Il paziente perciò deve recarsi nel nostro centro sanitario per sempre. Questo comporta uno spostamento dal suo villaggio al Centro almeno una volta ogni tre mesi, sempre se la salute fisica e la possibilità economica glielo permetteranno(…).
Ma questo non é sempre facile, visto le difficoltà economiche nelle quali versano gli abitanti dei villaggi: dovrebbero quindi oltre che pagare le spese sanitarie anche quelle di trasporto.
Tutto questo mi ha fatto riflettere e mi ha spinto ad elaborare un progetto che potesse andare incontro alle necessità di questa gente emarginata e dimenticata dalle istituzioni civili del Paese. Da questa riflessione è nato un progetto di unità mobile, che consiste in una jeep attrezzata con il mini- mo indispensabile per poter curare le patologie più semplici che si possono riscontrare nei villaggi (…). Il fine del progetto è di promuove- re una sensibilizzazione e fare dei test HIV alla popolazione che non ha facile accesso a un centro sanitario, quindi una diagnostica precoce prima della manifestazione di infezioni opportunistiche.
In questa missione mi sono reso conto del limite che ho incontrato di fronte alla sofferenza e alla miseria.
San Giovanni Paolo II ha detto: “La sofferenza umana desta compassione, desta anche rispetto, ed a suo modo intimidisce.” (Lettera Apostolica “Salvifici Doloris”,4). Non solo vedere, ma toccare con mano la miseria e la sofferenza in cui versa questa parte di popolazione centrafricana e della cui salute e del cui sviluppo nessuno si occupa, sfugge un po’ alla mia comprensione e devo dire che rimane un po’ come un mistero ineludibile.
Mi rendo conto che quello che faccio per loro mi sembra veramente poco. Tanto che, se non fosse per la gente stessa dei villaggi che visitiamo e che ci incoraggia a continuare perché portiamo un po’ di sollievo alla loro sofferenza, avrei preferito abbandonare questo progetto. Ma il coraggio e l’entusiasmo di andare avanti ha ripreso forza grazie al nostro fondatore San Michele Garicoïts che ci invita ad essere vicino a questi fratelli nelle loro periferie esistenziali. Per San Michele servire i fratelli nella sofferenza significa testimoniare Gesù: “Dal cuore di Gesù al cuore del mondo”. Anche la nostra Regola di Vita ci ricorda che dobbiamo impegnarci nella promozione umana. Ci invita a partecipare “alle attività che favoriscono lo sviluppo della persona umana”, prendendo anche delle iniziative “a favore degli emarginati; in modo mirato per aiuti urgenti, come pure in opere per combattere la malattia, la precarietà, l’ingiustizia e la povertà.” (RdV n. 125).
Quindi mi sono sentito spinto ad aprire gli occhi per vedere le ferite di tanti fratelli e sorelle privati di dignità e così sentirmi chiamato ad ascoltare il loro grido di aiuto.
Il motore di un progetto d’aiuto è l’amore, come diceva il nostro fondatore: “Datemi un cuore che ami veramente. (…) L’amore, ecco ciò che conduce l’uomo.” (DS § 101).
In un progetto non è importante solo il dare qualcosa, ma anche entrare in empatia con le persone sofferenti che incontriamo, come ci ricorda il documento Identità e missione del fratello religioso nella Chiesa (n. 27): «La missione del fratello (…), per un lato, è frutto di un cuore che si lascia prendere dalla compassione per i bi- sogni e le miserie dell’umanità; in queste necessità sente la chiamata di Cristo che lo invia a calmare la fame nelle sue varie forme; il suo carisma lo farà particolarmente sensibile a qualcuna di esse. Ma non basta! Il fratello, la cui vocazione ultima è identificarsi con il Figlio dell’uomo, si sente sospinto a farsi come lui: fratello dei più piccoli. In tal modo può a sua volta offrire, at- traverso la missione, il dono della fraternità che ha ricevuto e che vive nella propria comunità. Si tratta di un dono i cui destinatari sono i fratelli minori con i quali Cristo si è identificato. La missione non è “quello che fa”, ma la sua stessa vita, trasformata in comunione con i piccoli: “Perché il dono non umili l’altro, devo dargli non soltanto qualcosa di mio, ma me stesso; devo essere presente nel dono come persona”. (Deus caritas est, 34)».