Volontariato é: #inviaggioconmanuel: “E’ tempo di tornare con tante domande”

Volontariato é: #inviaggioconmanuel: “E’ tempo di tornare con tante domande”

Ultima pagina del diario di viaggio del volontario Manuel, che dopo oltre due mesi in terra centrafricana fa ritorno nella sua Livigno.

Guardo la savana nelle mie ultime ore qui e penso alle mille domande che vorrei farti.
Vorrei chiederti se sei disposta a stare con me per i prossimi cinquant’anni. A prendermi così come sono con i miei pregi e con i miei difetti.
Vorrei chiederti se sei disposta a seguirmi fino in Africa per sposarmi.
Vorrei chiederti se sei disposta a vivere altri mesi come i due che hai appena passato per lasciarmi vivere le mie avventure. Sembrano follie, ma sono quelle follie che mi fanno vivere la vita ridendo. Sono quelle follie che mi tengono acceso e fanno di me quello che sono. Troverei un modo… il modo per far essere felice la mia famiglia ed inseguire i miei sogni ad occhi aperti.
Vorrei sapere se pensi che sarei un buon padre ed un buon marito, anche stando lontano da casa ogni tanto, ma tornando tutte le volte con un sorriso più grande. Sarei un buon padre, ne sono sicuro… avrei tante cose da raccontare ai miei figli. Mi piacerebbe che amassero il mondo come lo amo io, mi piacerebbe che apprezzassero le cose come faccio io. Anche se tu non vorresti gli racconterei dell’Africa.
Vorrei che un giorno provassero quello che ho provato io a suo tempo. Ogni tanto me ne andrei, ma non lo farei perchè non vi voglio bene, anzi… lo farei per continuare ad essere vivo e per avere sempre nuove storie da raccontare. Gli altri potrebbero pensare male, ma a me importa solo quello che pensi tu.
Ai miei figli dedicherei sempre un pezzo di ogni mia giornata, questo l’ho imparato in Africa.
Li vorrei come i bambini qua: sempre sorridenti. E anche te ti vorrei così: sempre sorridente.
Quella che ho da offrirti non è una vita facile, però è una vita speciale… con me.

Ciao, vecchia strada piena di buche! Mi hai visto arrivare due mesi fa a bordo di una jeep stracarica di roba e ora che me ne vado chissà come devo sembrarti cambiato. In mezzo a questa savana mi sono sentito perduto, sono andato in crisi e poi ho ricominciato a rinascere come fa la luna che prima dimagrisce e poi torna ad ingrassare. Sono cambiato così tanto che ho sentito dentro di me l’anima scricchiolare.
Quando ho smesso di traballare sono stato il terremoto che portava scompiglio nel cortile dell’ospedale, sono stato il temporale che squassava la savana quando mi aggiravo per il villaggio armato come un Steve McCurry. Ho fatto irruzione nelle case della gente, ho invaso salotti e campi coltivati e disturbato la quiete dei pazienti del dispensario.
Sono stato il momento di festa in una giornata di pioggia.
Ho perfino scomodato qualche vecchio malato che si alzava a fatica dal materasso steso per terra per offrirgli un caffè. E in cambio ho sempre ricevuto ringraziamenti sinceri e sorrisi. Mi hanno regalato mazzi di insalata e pagnotte di pane dolce. Ho imparato a condividere e anche cos’è la dignità guardando chi non ha nulla.
Ho incontrato gli eroi della polvere: i poveri del mondo, gli ultimi degli ultimi.
Ho fatto ridere un sacco di bambini ed imparato a sorridere per farmi capire visto che con le parole non ci riuscivo. Mi sono aggirato per la savana imparando a non perdermi fra le capanne di mattoni e fango.
Ho guardato i mussulmani prostrarsi in preghiera nella polvere fuori dal dispensario ogni sera alle sei e ascoltato i tamburi e i canti di festa delle messe domenicali nelle chiese sparse nella savana. Ho perfino odiato questo posto prima di amarlo.
Ho desiderato che mi portassi via e poi che ti dimenticassi di me e mi lasciassi qui. Sei stata un’amica e una nemica, ma non ce l’ho con te… ho promesso che sarei tornato a casa per fare del mio mondo un’immensa savana in cui poter sorridere ogni giorno. In fondo sono io quello fermo in mezzo alla strada di terra rossa, piantato sotto il sole con una camicia sgualcita, la barba in disordine, sporco, sudato e senza un soldo in tasca.
Sono io quello che non farebbe a cambio nemmeno con un principe azzurro, perchè quello che ho visto io lui non l’ha visto.
Sono io quello che si guardava allo specchio e si sentiva cambiato.
Sono io che torno a casa con le scarpe bucate perchè quelle belle le ho lasciate a qualcuno che ne aveva più bisogno.
Sono io che ho imparato a mangiare la manioca con le mani quando venivo invitato in casa della gente. Sono io che andavo in giro per la savana a regalare fotografie. Per offrirlo alla gente ho bevuto tanto di quel caffè che potrei aver svuotato una piantagione intera, ma ne valeva la pena. Stento a credere di aver fatto tutte queste cose, ma sembra impossibile anche che esista un posto come questo.
Arriverò a casa e giurerò che Niem esiste anche se faccio fatica a crederci anch’io.
Racconterò a tutti della gente della savana, dei bambini sempre sorridenti, delle donne che sono sempre eleganti anche se vivono in mezzo alla polvere, degli uomini che sanno essere maestri di nobiltà anche se dormono su un materasso steso per terra e con due valige come casa
.
Lungo le tue curve ci sono villaggi che mi hanno regalato ricordi indelebili come Galilee. È lì che giurerei di aver trovato il cuore dell’Africa.
Ero venuto per rubargliene un pezzo, ma alla fine sono io che gliene lascio un altro po’ del mio. L’ho anche scritto: la vita nella savana è un’avventura. Un’avventura bellissima!

Torno a casa dopo essere stato nel posto più sperduto del mondo, nel cuore dell’Africa in mezzo alla savana. Potrei usare qualunque parola per descrivere la pista di terra che percorriamo ma non servirebbe a nulla.
Abbiamo lasciato Niem molto presto quando ancora non si era acceso il cielo, ma d’altra parte sono arrivato qui due mesi fa che era scuro.
Padre Arialdo non è uomo di grandi saluti, meglio così.
Nemmeno a me piacciono. Ci siamo stretti la mano e poi l’ho guardato allontanarsi nella savana inghiottito dalla notte diretto verso la sua chiesa: da lontano ho visto le deboli luci accendersi per un ultimo saluto di Niem.
Guardo i villaggi scorrere dai finestrini della jeep, le prime luci del giorno cominciano a colorare il cielo, i fuochi si accendono e le famiglie si riuniscono attorno alle braci.
Questa notte i canti funebri della veglia per un bambino che è morto non sono cessati un attimo.
Li sentivo nel dormiveglia e sembravano irreali.
Ho dormito nel limbo in quella terra di nessuno che non appartiene al mondo dei sogni né a quello reale.
Continuavo a girarmi e rigirarmi nel letto con i tamburi nella testa e una sensazione di angoscia dentro.

Ieri è morto anche l’ultimo gallo della missione. Lo hanno tirato giù dall’albero stecchito. Si erano ammalati tutti. Forse significa che è ora di tornare…

Manuel Viviani