Volontariato é: Magda che lotta per regalare il futuro
Oggi pubblichiamo con piacere la testimonianza di Magda, medico, che ha vissuto due esperienze nelle missioni di Niem e Bouar.
Il volontario è…. una persona che ha avuto la gran fortuna di poter aprire gli occhi sul mondo e farsi arricchire da ciò che il mondo dà!
Dal diario di viaggio:
“Finalmente siamo arrivati a Niem, villaggio di duemila abitanti della Repubblica Centrafricana, che vedrà me e la mia amica Miriam vivere la nostra estate…un’estate un po’ diversa dal solito, più intensa, più difficile, molto più ricca; ricca di vissuti, di esperienze, di volti grazie al quali ora mi sento davvero me stessa.
La parola arricchente è effettivamente quella che ho utilizzato di più, quando qualche amico mi chiede dell’esperienza vissuta…perché definirla bella è difficile, perché non puoi definire bella la sofferenza, la povertà, la miseria che abbiamo incontrato e toccato con mano, che vivono tutte le persone, nessuna esclusa, di quel Paese”.
Ma partiamo dall’inizio: il tutto è iniziato con la semplice proposta di un’amica di un’esperienza in Centrafrica presso le missioni di Niem e Bouar: ho accolto subito con l’entusiasmo l’idea di entrare in contatto con una realtà nuova, sempre sentita solo raccontare, e dove poter fare e vivere ciò che amo fare: il medico!
È bastato atterrare nella capitale Bangui, vedere le persone, i loro vestiti, i bambini a piedi nudi pieni di terra e fango (era la stagione delle piogge), per intuire la povertà di cui soffre la popolazione; ma arrivati il giorno dopo nel villaggio di Niem mi sono accorta che la situazione è ancora peggiore, perché oltre alla povertà vieni a contatto la sofferenza fisica delle persone, la malattia, la fame, ancora di più accentuata durante la visita in alcuni villaggi della savana.
È umanamente assurdo vedere bambini malnutriti, spogli, o con addosso un vestito stracciato che gli deve durare anni, sporchi, con il ventre gonfio perché non hanno di che mangiare, o perché hanno parassiti intestinali derivati dal bere acqua di fiumi; è triste guardarli e pensare che non hanno futuro, che non potranno fare della loro vita ciò che vorranno, come tutti i nostri bambini, ma divenuti grandi potranno solo coltivare il loro campo da cui trarre il cibo per sfamare a loro volta i figli per quella giornata, senza potere guardare un po’ più in là.
È altrettanto assurdo e triste anche dal punto di vista medico vedere che la gente si ammala di tante infezioni per noi banali o superate, che un taglio diventa una piaga che si infetta, che si può morire per la malaria o la tubercolosi, che la speranza di vita non supera i 50 anni, che l’Aids a abbasserà ulteriormente e che creerà migliaia di bambini orfani.
Ma di fronte alla sofferenza, ciò che colpisce è la loro pazienza e sopportazione del dolore: ho visto tante persone; tante donne, per lo più giovani, partorire, senza un lamento, ma solo con la speranza che il loro bimbo posso nascere senza problemi, sano. Come non ricordare il saluto delle persone che incontravo nei corridoi del dispensario già di prima mattina appena arrivavo; vedere i bimbi, i tantissimi bimbi sorridere e ridere solo perché fai loro una carezza, perché giochi a rincorrerli, oppure perché regali loro una caramella: tutto questo è semplicemente sorprendente e bello: il ricordo di questo insieme alle tante foto scattate donano un sacco di carica e un po’ di nostalgia.
Ma c’è anche dell’altro che mi ha suscitato ammirazione e affetto ed è il lavoro dei missionari, delle suore e dei volontari che dedicano la loro vita a queste persone: perché non è così difficile vivere tre settimane nel cuore dell’Africa come ho fatto io; ma decidere di partire, di lasciare tutto e donare la propria vita a questa gente non è facile, seminando tanto e raramente raccogliendo frutti.
Costruire scuole, chiese, dispensari, formare le persone del posto a insegnare o a curare, insistere sul beneficio dell’istruzione dei bambini perché possano avere un futuro, non è semplice. Ma ecco la presenza del Signore che li guida e li sostiene e insieme alle nostre preghiere, il nostro affetto e un po’ del nostro aiuto.
Ricordo ancora bene le parole di padre Beniamino durante il viaggio che ci avrebbe portati al villaggio di Bangarem che dà un po’ il senso della presenza betarramita in Centrafrica: «La calma, con decisione, è la chiave per aprire molte porte», perché serve calma e pazienza per aiutare il popolo africano a crescere, ma ci vuole la decisione di un impegno, di un sostegno da parte di tutti.
Quello che mi hanno lasciato le due esperienza in Centrafrica è una buona dose di nostalgia, un senso di ringraziamento, e tanti amici nuovi, compagni di avventure e un numero difficilmente calcolabile, di “nipotini neri”, come dice il mio primo “nipotino bianco”.
Magda Verga